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FRANCESCO GUCCINI

Nato a Modena (1939), esordisce agli inizi degli anni ’60 con canzoni ispirate alla canzone d’autore americana e francese e poi suonando insieme al gruppo storico dei Nomadi. A partire dagli anni ’70 si afferma come uno degli autori più apprezzati del panorama musicale italiano (e in particolare della scuola bolognese: fortemente legato alla propria terra di origine (l’Emilia) e motivato sempre da un saldo impegno civile e politico, Guccini scrive canzoni come un moderno cantastorie, con una cura artigianale soprattutto nella costruzione dei testi. E' anche autore di romanzi e di libri di discreto successo.

 

GUIDA ALL'ASCOLTO

Le canzoni di Guccini sono come quelle degli antichi cantastorie: il testo conta più di tutto e la musica serve solo come accompagnamento. E' dunque soprattutto nelle sue parole che va ricercato il valore di questo autore, per il fatto di aver trovato una via autonoma e personalissima per la canzone di autore italiana, lontana da tendenze poetizzanti, ma nondimeno molto efficace ed espressiva. Le sue canzoni sono come i vini della sua terra, l'Emilia. Non sempre sono raffinati, ma sono forti, sinceri ed è piacevole gustarli in compagnia (non per nulla la bottiglia di vino accompagna Guccini in tutti i suoi concerti e il tema dell'osteria ritorna insistente in molte delle sue canzoni). La dizione sporca, la voce forte che non si cura troppo delle sfumature, costituiscono un altro elemento del suo fascino e della sua enorme capacità comunicativa.

 

GLI ALBUM

Radici, 1972
Il primo grande successo di Guccini, contiene alcune ballate indimenticabili, a volte ispirate a temi politici (La locomotiva), altre volte più intimiste e riflessive (Il vecchio e il bambino) o anche amare (Piccola città): l'intero universo gucciniano condensato in un solo disco.

Via Paolo Fabbri 43, 1976
Il titolo è l'indirizzo di casa del cantante a Bologna. Le canzoni sono efficaci e forti come sempre, particolarmente quelle più impegnate: una triste storia di aborto all'italiana (Piccola storia ignobile) e L'avvelenata, invettiva al vetriolo contro il mondo dello show business.

Amerigo, 1978
Gli accompagnamenti musicali cominciano a farsi più liberi e ricercati, anche se la linea melodica è sempre assai scarna. Eskimo rappresenta la canzone simbolo di un'intera generazione.

Signora Bovary, 1987
La title track è un'intensa e dolente rappresentazione che Guccini da di se stesse (memore di quel "Madame Bovary c'est moi" di Flaubert). La canzone Keaton (scritta in realtà da Claudio Lolli) rappresenta in realtà quasi un capitolo a parte nella produzione gucciniana: dolente, malinconica, con venature jazz e cantata in modo superbo dalla voce sporca del nostro autore.

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