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A cura di Fábio Rabello - Traduzione di Anna Fodale

 

Un'opinione di Fábio Rabello 2/10/2007

Le nostre scuole sono fabbriche di marginali

 

Il Brasile possiede più di trenta leggi di sostegno alla cultura. Sono troppi incentivi e poca cultura.  Se dipendesse da me, sarebbero tutte abolite. Non funzionano, ed inoltre,  ogni volta che un finanziamento destinato al patrocinio di un’opera d’arte giunge a destinazione, non stiamo facendo altro che buttare i nostri soldi al vento. L’arte nazionale è così egocentrica che non è capace nemmeno di influenzare se stessa. E quando, grazie ad un miracolo, arriva fuori dal paese, provoca soltanto scherno. Se gli artisti non hanno soldi per poter vivere di poesia, musica o di un’arte qualsiasi, che si rivolgano ad un parente, o che si vendano la macchina!  Ciò che importa è che non vengano a succhiare i miei soldi. Alla fine il giro di denaro pubblico usato per finanziare gli eventi culturali è proporzionale al numero di leggi che incentivano la nostra protocultura. Per lo meno questo è ciò che accade in Brasile.        

Ci fu un tempo in cui pensavo che il denaro investito dallo Stato per il mercato cinematografico, per esempio, sarebbe dovuto essere destinato alla costruzione di scuole. Oggi invece, la penso in modo diverso. Un giovane trascorre almeno undici anni nell’insegnamento pubblico mantenuto dal paese e ne esce senza saper riconoscere la differenza tra singolare e plurale. Lo Stato ha perso tempo e denaro nel tentativo di alfabetizzarlo. Ha buttato soldi. Si è giocato i suoi ed i miei soldi che, applicati all’insegnamento, hanno soltanto creato mostri, come accadde a Mary Shelley con Frankenstein.  Si sbaglia chi pensa che le carceri pubbliche producano marginali. Menzogne. Sono le nostre scuole arcaiche.

Quasi tutti i criminali che conquistano le prime pagine dei giornali sono in possesso di un’istruzione media completa e sono capaci di pianificare crimini di una pericolosità quasi letteraria. Escono dal carcere formati in modo completo sull’argomento. Nel frattempo non sanno nemmeno che la capitale del paese è Brasilia, o che ci troviamo nel Continente Americano. Ho già sentito dire da una bambina di nove anni, alunna di una classe quarta, che la capitale di São Paulo è Los Angeles. Ma un cittadino, di media istruzione, di quasi trent’anni, che dice un’atrocità del genere, dimostra soltanto che la scuola è una macchina che produce Frankestein che, dopo essersi istruiti, si ribellano contro il proprio creatore: lo Stato. Sarebbe stato di gran lunga migliore istruirli ad asfaltare le strade ed inserirli subito nel mondo del lavoro. E invece no, li paghiamo per far sì che, prima o poi, vengano ad assassinare un nostro parente.

Publicato per gentile concessione di:

Jornal da Paulista

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