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Un'opinione di Alberto Motosso | 5/4/2007 |
Microcredito |
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Dopo trentacinque anni di lavoro bancario, di cui venti a livello dirigenziale, vorrei provare ad esprimere una valutazione serena sul fenomeno del Microcredito, sui suoi indubbi vantaggi, sui suoi difetti e sui suoi limiti. Il riconoscimento, lo scorso 2006, del Premio Nobel per la Pace a Muhammad Yunus ha portato immediatamente d’attualità e a conoscenza del grande pubblico l’esistenza del Microcredito e la gente comune ne è rimasta affascinata. Di cosa si tratta esattamente? Le banche ordinarie per fare Credito hanno bisogno di Garanzie. Tali Garanzie possono essere costituite da beni patrimoniali o da attività commerciali già avviate e produttrici di reddito. Va da sé che, in questa situazione, il povero, chi è nullatenente, non ha nessuna possibilità di accedere ad alcun tipo di prestito. Il Microcredito ha la presunzione di capovolgere questa situazione offrendo Credito ai poveri, ai diseredati, a coloro che, pur avendo buoni progetti, non hanno alcuna disponibilità per realizzarli. Le Garanzie materiali verranno sostituite da Garanzie morali. Spesso il prestito viene richiesto da un intero gruppo di persone e, anche se il debitore è solo uno dei componenti, il prestito successivo (ad un altro membro del gruppo) è, quasi sempre, subordinato alla restituzione del debito iniziale. Le associazioni che praticano il microcredito dichiarano di avere una percentuale di rimborso di oltre il 95% e, considerando la situazione assai meno favorevole del prestito bancario tradizionale, il risultato non può non essere considerato eccezionale. Dobbiamo anche osservare che i Tassi praticati per il Microcredito sono particolarmente elevati (tra il 24 e il 36%, come risulta dai dati del convegno “IV Giornata Nazionale della Finanza Etica” ). Si tratta di tassi che, nei “Paesi Sviluppati”, sarebbero definiti “da Usurai”. Non si comprende perché il denaro (proveniente dai paesi occidentali e con una bassa percentuale di perdite e quindi di rischio) non possa essere prestato ai tassi correnti negli stessi Paesi Sviluppati, ovvero intorno al 6-8%. Analizzando meglio il fenomeno, osserviamo come le Associazioni che praticano il Microcredito siano spesso strutturate in più livelli direttivi, amministrativi e burocratici. Nel caso del Microcredito, ogni persona non essenziale al contatto con la clientela rappresenta un onere, che influisce sul valore dei tassi praticati. In parole povere: ancora una volta sono i poveri che pagano i costi dei funzionari della Cooperazione Internazionale. Ci permettiamo di suggerire, in conclusione, che la gestione del Microcredito venga affidata esclusivamente a Ong specializzate, le quali separino nettamente le spese amministrative e burocratiche (che dovranno essere coperte da Fondi ad hoc) dalla parte che dovrà essere, invece, destinata ai prestiti da concedere. In tale maniera sarà possibile, oltre ad ottenere una trasparenza contabile e la riduzione dei tassi praticati, evitare che uno strumento di indubbia efficacia diventi esclusivamente una “moda”, utile solo per mettersi in mostra nei confronti dei possibili donatori. |
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