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A cura di Antonio Danise

Batuko

 

batuko

Batucaderas de Bela Vista

Altro genere musicale peculiare dell’isola di Santiago e dalle radici decisamente africane, il batuko trasmette la memoria collettiva e l’identità di un popolo. Secondo alcuni la parola deriva da un termine dell’Africa occidentale ba-tuk, che significa battere, ma più probabilmente dal portoghese bater dallo stesso significato.

Gli oggetti indispensabili per il batuko sono il pano e la tchabeta. Il pano, è una striscia di cotone portata dalle donne attorno ai fianchi durante la danza che serve a sottolineare i movimenti del corpo. La tchabeta, una sorta di cuscino formato da  stoffe avvolte da un telo di plastica, per poter ottenere un suono più acuto, svolge la funzione di strumento a percussione.

Nato ai margini dei lavori nei campi, nella sua forma tradizionale è eseguito essenzialmente dalle donne (anche se esistono delle esemplari eccezioni, come nel caso di Ntoni Denti D’Oro). La musica comincia con le batucaderas, sedute in semicerchio, in uno spazio denominato terrero, che cominciano a battere la tchabeta tenuta stretta tra le gambe.

Gli elementi del batuko sono: il ritmo, il canto e la danza.

Il ritmo di introduzione è lento. Solitamente c’è la batucadera capogruppo che dà le indicazioni alle altre su come suonare. Il canto comincia con la solista che accenna un brano e poi le altre che rispondono in coro nel mentre continuano a battere. Il ritmo raggiunge fasi più vivaci, assecondato dal battere frenetico e ossessivo delle batucaderas fino ad arrivare ad uno stato parossistico in cui sembra che le ballerine cadano in trance. È il momento culminante del batuko.

I testi delle canzoni, che come si è detto sono eseguite da donne, riguardano spesso argomenti della vita di tutti i giorni, quelli con cui hanno a che fare le donne, i rapporti con i figli o con i mariti partiti per la pesca o emigrati all’estero.

Sono le donne a prendere parte alla danza. Il movimento che parte dai fianchi avvolti dal pano comincia lentamente a prendere tutto il corpo in una danza frenetica e coinvolgente che in breve trascina al ballo anche altre batucaderas.

Il batuko viene eseguito per celebrare le festività agricole ma anche in occasione di eventi quali nascite, battesimi, matrimoni o funerali. Durante la colonizzazione portoghese il batuko veniva praticato in clandestinità. Il potere coloniale, infatti, lo considerava un’espressione selvaggia in cui si manifestava un’africanità da bandire in tutti i modi. La Chiesa, a sua volta, considerava il batuko un’oscenità e arrivava persino a rifiutare di impartire il matrimonio a chi lo praticava. A partire dal 1975, anno dell’indipendenza di Capo Verde, il batuko, così come il funaná e la tabanka, altre espressioni tradizionali dell’isola di Santiago, comincia ad uscire dall’ambiente rurale e si esegue anche nelle città e soprattutto a Praia, la capitale.

Negli anni '90 Orlando Pantera, un giovane musicista originario di Santiago, si propose di inserire elementi di modernità nel batuko. Nel corso della sua breve vita, durata solo 33 anni, lasciò un segno indelebile nella musica tradizionale capoverdiana. Gli artisti che ebbero la fortuna di conoscerlo e di lavorare insieme a lui, proseguirono quel lavoro di ricerca da lui iniziato, nella prospettiva di coniugare l'attualizzazione del genere con l'approfondimento delle caratteristiche tradizionali del batuko.

Tra gli artisti che hanno raccolto la sua eredità e che hanno dato vita a quella che è stata definita "Geração Pantera", vanno ricordati Vadú, Tcheka, Djingo, Prinzecito, Lura e Mayra Andrade.

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