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A cura di Andrea Ingianni ([email protected])

 

S.O.S. da CAPOVERDE

Diario di viaggio di Andrea

 

Sono partito per l’isola di Sal, nell’arcipelago di Capoverde, l’8 FEBBRAIO da Bologna. Il volo è stato tranquillo salvo una moderata perturbazione in prossimità delle isole, a causa degli alisei che in questo periodo spirano con violenza. Siamo atterrati a Sal verso le 21 (23 ora italiana) e il tassista di colore, Armando, ci ha condotto con un pullmino traballante in albergo, l’hotel da Luz, nel villaggio S. Maria, sul mare, a circa 20 Km da Espargos, il capoluogo. Con Armando intento ad ascoltare alla radio musica portoghese, ho scambiato le prime parole e gli ho chiesto se chi stava cantando fosse la famosa Cesaria Evora. Mi ha sorriso con benevolo compatimento quasi per scusarmi dell’ignoranza. Gli ho domandato allora se conosceva Dulce Pontes, la grande interprete portoghese, e mi ha risposto di no, che non l’aveva mai sentita! A malapena ha ammesso di conoscere Amalia Rodrigues! Al che m’è venuto il sospetto che non dovesse correre buon sangue tra i locali e i portoghesi e c’è da capirlo, visto che questi ultimi hanno “comandato” a Capoverde sino al 1975. Siamo giunti in albergo, sembra accogliente e igienicamente soddisfacente; è a gestione familiare ed il titolare, sig. Josè Luz, e la sua famiglia sono cordiali e disponibili.

Dopo una notte tranquilla, scossa solo dal sibilo degli alisei, il giorno successivo, 9 FEBBRAIO, ho incontrato di mattina la tour operator e qui prima contrarietà: io avrei voluto fare base a Sal, da questa portarmi di volta in volta sulle altre isole, e rientrare. La cosa non è possibile. Non esiste in pratica una linea di congiunzione diretta, marittima o aerea, tra Sal e tutte le altre isole. Da Sal è possibile raggiungere, compatibilmente con una domanda di trasporto “numericamente adeguata” (stesso discorso vale anche per il ritorno), solo le isole più prossime da cui spostarsi, con gli stessi problemi, verso le più distanti! In sostanza per visitare tutto l’arcipelago mi sarebbe occorso più di un mese, vanificando, tra l’altro, la pensione che avevo impegnato per 15 giorni a Sal. Succede quindi che 15 giorni sono troppi per soggiornare qui e troppo pochi per recarmi altrove! Premetto che scopo della mia vacanza non è solo quello di ammirare le bellezze naturali sulle quali esiste in commercio un’ampia e diffusa documentazione, quanto, soprattutto, di conoscere usi e costumi della popolazione. Va bene, mi son detto, vedremo di fare di ogni vizio virtù e ho deciso allora di visitare il piccolo villaggio di S. Maria. Altra sorpresa! Nel piccolo centro una frotta di “vù cumprà” locali e senegalesi ti lascia senza respiro; in ogni negozio, ma si tratta per lo più di scantinati o giroscale arredati con il campionario più variopinto di mercanzia, bisogna contrattare sino allo spasimo! La cosa, per quanto pittoresca, alla fine, per chi, come me, non è più abituato a queste trattative, risulta snervante, e a volte anche irritante quando ti accorgi che un altro, più abile di te nel “tirare”, l’ha spuntata, per lo stesso oggetto, ad un prezzo inferiore rispetto a quanto hai pagato tu! Va bene, mi son detto ancora, è lo scotto che noi “occidentali” paghiamo alla civiltà del benessere, del consumo. In fondo, ho pensato, in Sicilia dove sono vissuto fino al 1970 (avevo 25 anni) succedeva nei negozi la stessa cosa, anche se con meno folklore! Devo poi aggiungere che qui l’insistenza dei “vu cumpra” non diventa mai aggressività di fronte al diniego del possibile cliente. Bisogna, inoltre, come mi spiegava Gianfranco, di cui parlerò più avanti, distinguere tra senegalesi e capoverdiani, fra i quali sembra non vi sia gran feeling; più spavaldi e “caciaroni” i primi, più riservati e introversi i secondi.

Carcassa di tartaruga sulla spiaggiaSuperata comunque, non senza qualche acquisto obbligato di souvenir risultato alla fine gradito al “beneficiario”, la barriera degli ambulanti, mi sono diretto verso la zona est del villaggio (la ovest è la zona “in”, dove sorgono i grandi alberghi e qualche locale tipico) che si stende a ridosso della bellissima spiaggia. Ennesima delusione! L’area è in pratica un enorme cantiere edilizio in pieno fermento, in mano a italiani (soprattutto), tedeschi, svizzeri, spagnoli, etc. che stanno facendo scempio di uno dei litorali più belli del mondo. In questo si avvalgono di manodopera proveniente dalle altre isole (quelli di Sal pare che si riufiutino di lavorare e perciò vengono considerati degli sfaticati…dai titolari delle imprese…naturalmente!!! ) per costruire in maniera, non voglio usare il termine “selvaggia”, ma sicuramente dissennata, avulsa da ogni criterio urbanistico. Fra qualche anno avremo cementificato anche questo paesaggio naturale con buona pace degli ecologisti! Speriamo che nel frattempo le autorità locali, che pure godono fama di incorruttibilità, prendano consapevolezza del problema non cedendo alle lusinghe del benessere e della ricchezza che potranno portare i negozi , i supermarket, le boutique, le sfilate di moda, i vip, etc. , che arriveranno a scempio ultimato!

Affacciandosi al balcone della mia camera d’albergo, è possibile osservare, di mattino e di sera, l’arrivo e la partenza di grossi camion, carichi di “carne da lavoro” che si riversa sui cantieri e che mi ricorda certe scene di “caporalato” magistralmente riprese nei film del neorealismo di Vittorio de Sica e Roberto Rossellini. Chiudo il diario di questa giornata con una amenità. In hotel ho incontrato due turisti italiani di ritorno da una escursione nella vicina isola di Boavista dove mi hanno raccontato di avere captato una certa forma di razzismo (proprio così!) degli abitanti del posto nei loro confronti!

10 FEBBRAIO: oggi è stato particolarmente importante per me. Ho partecipato ad una escursione sull’isola assieme a due signore bolognesi, Franca e Maria Grazia, ed alla guida locale, Anita, una ragazza di colore di circa 30 anni. Ho avuto modo di ammirare le piscine naturali di Buracona dove l’acqua dell’oceano, penetrando in un anfratto, va a riempire delle vasche naturali, il deserto di Sal con il miraggio dell’acqua, le saline di Pedra de Lume, un tempo sfruttate dai portoghesi della cui presenza rimane traccia nella imponente teleferica in disuso e nei grossi cargo pieni di ruggine, che stanno nei pressi della spiaggia. Oggi Pedra de Lume è solo meta di turisti che vengono a bagnarsi nell’acqua salata delle vasche di desalinizzazione e dove qualche irriducibile superstizioso sostiene esista l’elisir di eterna giovinezza (finora però mai testato). Infine Anita ci ha condotto al pittoresco mercatino artigianale di Espargos dove i variopinti articoli, per lo più oggetti tradizionali di uso comune o simbolici, rispecchiano il sistema di vita quotidiano degli isolani prima dell’avvento della cosiddetta industrializzazione. Al mercatino non è possibile ignorare la bellezza di Elisa, una splendida venditrice del posto che incanta i turisti con la sua grazia e che, consapevole del fatto, accetta di farsi riprendere in qualche foto, insieme però, ci tiene a precisarlo, alla turista italiana.

OasiMa ciò che oggi mi ha più coinvolto è stato il racconto di Anita, la nostra guida di colore, una ragazza orgogliosa, intelligente e incline al dialogo. Sollecitata dalla nostra curiosità, ci ha parlato di sè, della sua famiglia. Ultima di quattro figlie avute da donne diverse (in certi retaggi l’uomo la fa ancora da padre padrone), è cresciuta con il genitore verso il quale nutre grande rispetto ma del quale, sin da bambina, ha rifiutato l’autoritarismo, subendone le conseguenze a suon di ceffoni. Ciononostante Anita ha caparbiamente conquistato la sua indipendenza, uscendo dal ghetto della manovalanza ed affermando un prototipo femminile qui ancora poco noto. La madre, ci dice, una bellissima capoverdiana, fu spedita dal marito in Italia a “cercare fortuna” per elevare con qualche umile lavoro le condizioni economiche della famiglia. Che lavoro avesse svolto la madre di Anita non si sa, ma è facile immaginare. Sta di fatto che, ritornata in patria, manifestò l’intenzione di rimanere ma fu rispedita dal marito, uomo molto ambizioso (parole della figlia), in Italia, dove stavolta nacque “una storia” con un italiano. Rientrata a Sal, venne tradita da un’amica (tutto il mondo è paese!) che riferì tutta la vicenda al marito il quale la ripudiò con infamia. Adesso vive in Italia con l’uomo che conobbe, da dove invia di tanto in tanto qualche pensierino alla figlia che della madre conserva un ricordo dolcissimo e alla quale sognerebbe un giorno di avvicinarsi. Attualmente Anita ha un amore contrastato con un nigeriano; lui è un tipo all’antica, lei esuberante e “capatosta”…Se son rose fioriranno!

Abbiamo poi parlato con Anita della situazione delle altre isole e ci ha confermato quanto temevamo. Altrove, dove manca l’aeroporto internazionale (ma esistono forti pressioni perché venga costruito su altre tre isole), la popolazione conserva ancora una sua spontaneità legata alle tradizioni e al rispetto della natura, considerata una linfa alla quale attingere ma da non prosciugare. E allora mi nasce un sospetto: che la carenza e le difficoltà negli spostamenti esterni non siano altro, a livello più o meno inconscio, che una forma di autodifesa di fronte all’avanzata del dio-denaro.

11 FEBBRAIO: In albergo ho conosciuto due graziose e simpatiche ragazze bolognesi, Paola e Lorenza, giunte con me a Sal, con le quali di tanto in tanto scambio qualche impressione. Loro, data anche la giovane età, cercano a differenza di me, com’è naturale, anche qualche “giovane “ svago, tipo discoteca, che le distolga almeno per un breve periodo da un anno di faticoso lavoro (fanno le commesse a Bologna). Hanno subito fatto amicizia con vari giovani del posto che si sono incaricati di farle da guardia del corpo per “proteggerle” dall’assalto dei vu cumprà. Una mattina Lorenza era particolarmente turbata: la notte precedente Lindo il giovanissimo (21 anni) portiere di colore dell’albergo, nonché “guardia del corpo”, le aveva telefonato in camera “dichiarando il suo amore” e dicendo che la forte simpatia che lei nutriva nei suoi confronti era pienamente ricambiata. Pur lusingata, Lorenza si sentiva un pò in colpa per avere generato in Lindo certe convinzioni col suo comportamento amichevole e confidenziale. Le ho chiesto se lo stesso comportamento avrebbe tenuto con un ragazzo italiano…forse no ; e allora perché ritenere che Lindo non possa fraintendere? Tuttavia, niente di grave! Chiodo scaccia chiodo, e Lindo sicuramente si consolerà col prossimo avvento di turiste che settimanalmente ricambiano gli ospiti dell’albergo. Però, al di là di tutto, dei sentimenti fraintesi, è bello vedere, anche nel rammarico di Lorenza, come nel giro di una settimana possa nascere un sentimento fra due persone di diverso colore, di paesi diversi, che solo alcuni giorni fa non si conoscevano e che forse mai più si rivedranno.

Oggi ho comunque avuto anch’io la mia giornata da “vip”, ho conosciuto anch’io la mia piccola “Parigi-Dakar”. Ho infatti partecipato, in sella ad una “quaid” (credo si scriva così), una moto con quattro ruote motrici, munito di giubbetto impermeabile anti-polvere e caschetto blu, alla traversata – si fa per dire- del piccolo deserto a sud-ovest di Sal. L’escursione, guidata da un ragazzo italiano che qui vive e noleggia questi mezzi, è stata abbastanza divertente: abbiamo attraversato le dune ricoprendoci di sabbia, ci siamo fermati alla piccola oasi, sostando sotto le palme che a margine del deserto e col sole del tramonto disegnano uno scenario “caldo”, tipicamente africano. Rientrando “alla base” abbiamo costeggiato l’oceano che, distante dai villaggi turistici, acquista un fascino, una dimensione, un senso di arcano e persino un colore (più blu, più profondo) unici. Ho avuto modo di vedere la carcassa di una grossa tartaruga marina. anche se più tardi, sentendo i reduci di altre spedizioni nel “deserto” emozionati dalla scoperta dei resti dell’animale, m’è venuto il dubbio che fosse stata sistemata lì, ”ad arte”!

MilùRientrato in albergo, mi sono fermato a scambiare due chiacchiere col sig. Gianfranco che in questo hotel è un’istituzione. Gianfranco è un signore italiano avanti negli anni, portati comunque magnificamente, che alloggia al Luz da circa dieci anni. Di una vivacità culturale e intellettuale non comune, dai modi raffinati ma mai affettati, mi ha subito colpito col suo portamento “naturalmente” aristocratico. Dopo i primi consueti “buongiorno” “buonasera” abbiamo intrattenuto qualche conversazione. ”Non amo la neve, il freddo, e il verde, né le mezze misure” ha tenuto subito a precisare. Mi ha spiegato la situazione economica dell’isola, fondata principalmente sul turismo e la pesca. La popolazione, che solo da circa trent’anni ha acquistato la piena indipendenza dal Portogallo, ha dovuto in questo lasso di tempo, con l’arrivo degli europei e delle nuove imprese, compiere un balzo di cento anni. E' infatti passata bruscamente da uno stadio preindustriale a una industrializzazione imposta dall’esterno, che, limitandosi ad un utilizzo di mano d’opera senza specializzazione, non aiuta a creare in loco professionalità e infrastrutture. La rete viaria interna è carente, gli ospedali versano in condizioni precarie sia per struttura che per specializzazioni, servizi e tecnologia. E si capisce allora perchè il capoverdiano di Sal abbia, presso gli europei, la nomea di essere supponente, neghittoso, a volte insolente ; si tratta certamente di una forma comprensibile di reazione di fronte alla saccenza e alle pretese dei moderni colonizzatori.

Gli orchestrali del FunanaD’altronde, in carenza di risorse naturali a parte la pesca, i giovani governi capoverdiani non hanno probabilmente ancora acquisito una esperienza sufficiente per fronteggiare adeguatamente questa situazione di arrembaggio, tesi soprattutto ad assicurare, in prospettiva, un certo benessere economico agli abitanti. Peraltro il tasso di scolarizzazione è elevato e sono previste borse di studio a chi dopo le superiori intende conseguire una laurea all’estero, poichè in loco non esistono istituti universitari o di alta specializzazione. E invece proprio in questi settori il governo dovrebbe, a mio avviso, puntare maggiormente e investire, per dare la possibilità ai capoverdiani di acquisire in breve una loro autonomia scientifico-tecnologica, professionale, in modo da affrontare alla pari la concorrenza straniera.

L’unico grande imprenditore capoverdiano, mi dice Gianfranco, è l’ing. Fonseca il quale ha tra l’altro edificato il complesso di Morabeza, a circa 10 Km. da Santa Maria, che, grazie al mio mentore il quale ha gentilmente messo a disposizione la sua auto, ho avuto modo di visitare (il successivo GIORNO 12). Il complesso risponde effettivamente ai moderni canoni di efficienza delle costruzioni, sia dal punto di vista edilizio che da quello urbanistico, e nulla ha da spartire con i conglomerati che sorgono nel resto dell’isola. Altro grande costruttore, parole di Gianfranco, è l’italiano, veneto se non ricordo male, Stefanino, che ha qui realizzato il Djadsal Holiday Club, uno dei maggiori alberghi del posto, forse il più grande, dotato di ogni confort. Stefanino ha già acquistato altre aree sull’isola che sicuramente verranno destinate alla ricettività alberghiera e residenziale.

13 FEBBRAIO: oggi mi sento un po' triste. Le persone, che erano arrivate con me la domenica scorsa e con cui avevo allacciato un qualche rapporto di conoscenza, sono quasi tutte ripartite. Come sempre accade in queste occasioni ci siamo salutati col proposito di risentirci, già sapendo che difficilmente ciò avverrà. Per avvalorare questo proposito ho scattato loro delle foto, così da assumermi un impegno per recapitarle. Ho deciso poi di fare il normale turista da spiaggia, di prendere il sole, raccogliendo magari qualche conchiglia come souvenir. Così ho fatto. Ho camminato a lungo nei pressi della bellissima spiaggia a parte qualche rifiuto lanciato da qualche turista di passaggio, e ad un tratto mi sono imbattuto in una montagnola di grosse conchiglie, di quelle che in Italia troviamo nei negozi o nelle bancarelle, esposte come souvenir o posacenere. Stavo per prenderne, quando m’è venuto il dubbio che non fossero lì per caso, ma qualcuno ve le avesse riposte con un scopo preciso. Ed infatti, alzando gli occhi ho notato a distanza una tenda e, nei pressi, due uomini di colore intenti a ripulire, una ad una, con certosina pazienza, le migliaia gusci dalle incrostazioni di sale e sabbia, servendosi allo scopo soltanto di un coltello non affilato, di acqua e di una spazzola. Alla fine dell’opera le conchiglie avevano riacquistato i colori e la brillantezza originali ed erano quindi pronte per essere immesse sul mercato. Avvicinatomi ai due (due fratelli) ho chiesto se non fossero stufi di stare sotto il sole a grattare quegli involucri. Mi hanno fatto capire che quello era il loro mestiere e allora mi sono reso conto della banalità della domanda. Comunque, visto che mi trovavo nella “Sede della ditta”, ho deciso di acquistare qualche conchiglia. Dopo l’inevitabile trattativa, ne ho comprato cinque, grezze, di cui i fratelli mi hanno illustrato il procedimento per riportarle all’antico splendore ( in effetti, ritornato in albergo e applicato il sistema ad una di esse, i risultati sono comparsi! ). Prima di accomiatarmi ho chiesto ai due se fossero senegalesi o capoverdiani: “do Caboverde!” mi hanno risposto con orgoglio.

Terminata la passeggiata sono tornato al villaggio non senza essermi fermato in uno dei tanti locali sul mare, il “Bedje”, a salutare Cecilia che qui lavora come barista. Cecilia è una giovanissima capoverdiana d.o.c. dalla bellezza aggressiva e dal sorriso aperto. Le ho chiesto di poterle scattare qualche istantanea: in fondo- ho aggiunto- non aveva nulla da invidiare a Naomi Campbell (anche se il complimento vistoso fa torto a Cecilia!). L’unica differenza sta nel fatto che Naomi ha avuto la fortuna (non si sa a che prezzo) di finire in copertina. Cecilia ha sorriso, non so se apprezzando il complimento o l’augurio. Mi ha servito quindi una bevanda alcolica, la “caipirinha” fatta con fettine di lime, zucchero, ghiaccio tritato, il tutto innaffiato col “grogo”, la forte acquavite locale estratta dalla canna da zucchero. In albergo ho trovato una piacevole sorpresa. Josè Luz, il titolare, aveva organizzato un buffet con orchestrina. Allo scopo aveva ingaggiato dalla vicina Boavista il “Grope Vulcao d. Fogo” che si è esibito in un repertorio di musiche tradizionali, la “Morna de Boavista” e la “Coladeira”. Io non sono un esperto ma queste musiche, suonate con grande perizia e con accordi perfetti, benchè mai udite in passato, mi hanno avvinto. Mi rammentavano in parte il fado portoghese, in parte certi canti gitani che lasciano dentro una strana sensazione di nostalgia, di fatalismo, di libertà conquistata a duro prezzo. Il complesso, anche se poco conosciuto, è di tutto rispetto, sia per affiatamento che per raffinata tecnica di esecuzione.

Avrei voluto visitare le altre isole che spiccano ognuna per caratteristiche e colori diversi, il verde, il mare, la montagna , etc. , ma, come ho detto all’inizio, non mi è stato possibile. Ho lasciato cadere anche la possibilità di recarmi nella vicina Boavista, mi sembrava una soluzione posticcia e costosa. Ho deciso allora, nei giorni che restavano al termine della vacanza, di approfondire le mie conoscenze dell’isola di Sal. Come ho già accennato, questa è in grande espansione, crescente è la domanda di infrastrutture e carenti d’altra parte sono le specializzazioni. Qui le attività che vanno per la maggiore sono il taxista, il barista, il negozietto di abbigliamento. L’informatizzazione , ad esempio, è ad uno stadio non dico primitivo ma sicuramente non professionale. Perchè, mi sono chiesto, non pensare di programmare dei corsi di informatica che diano ai locali la qualificazione in una branca che rappresenta nel futuro una chiave di volta per ogni attività? Ho fatto delle indagini presso la neo costituita Associazione Commercianti ed ho avuto conferma della bontà dell’idea, sicuramente tutta da affinare, sviluppare, ma fondamentalmente valida. Mi sono quindi ripromesso di riprenderla in considerazione in Italia, parlandone con mio figlio che ha particolare competenza della materia, e poi di riproporla a Capo Verde dove sono consapevole di avere acquisito dei punti di riferimento.

Salinas Pedra de LumeE così fra due chiacchiere, qualche capirinha, un carpaccio di pesce che qui è freschissimo, arriva il giorno 21. Sto terminando la cena in albergo, quando compare Gianfranco che mi dice: ”Se non hai impegni, potremmo fare un salto al Funana; stasera , venerdì, dovrebbe cantare Milù che è proprietaria assieme al marito, un tedesco, del locale” . Detto fatto, in meno di 10 minuti di macchina siamo al Funana, tipico locale sul mare, elegante e caratteristico. Funana, mi spiega Gianfranco che qui è di casa, è anche un genere musicale dal ritmo molto vivace. Mi presenta vari personaggi del posto mentre l’orchestra attacca con ritmi brasiliani e finalmente compare Milù. E' una bella creola di circa 40 anni che, accompagnata da giovanissime ballerine, canta e danza il funana con movenze feline. Ha una voce gradevole; particolarmente apprezzati sono i brani “funanà e sabi” e “menina bonita”, inseriti in un CD che mi affretto ad acquistare. In una pausa viene a salutare il mio amico il quale mi presenta. Mi complimento per l’esibizione e le dico che sarò molto felice di portare le sue canzoni in Italia. Tra una caipirinha e l’altra si va avanti oltre mezzannotte e, mentre Gianfranco si cimenta in una vorticosa samba collettiva, io mi dedico alla fotografia ed effettuo varie sequenze che sembrano essere molto gradite agli artisti che animano la serata. Mi incuriosisce in particolare uno strumento, ”il ferrigno”: si tratta in pratica di una barra di metallo sulla quale il suonatore scandisce il ritmo con un comune coltello da tavola!

Congedatici, ultimi avventori, da Milù non senza averle promesso che mi sarei fatto vivo al mio ritorno a Capoverde, ci fermiamo ancora in una birreria e infine approdiamo al “Pirata”, la discoteca gestita da un italiano, per bere l’ultima caipirinha. Si avvicina Maria, la giovanissima ragazza di colore, che qui svolge il lavoro…più antico del mondo, di cui mi colpiscono subito la dolcezza e lo sguardo triste. Le faccio capire che non sono nelle condizioni per intrattenermi con lei ed allora decide di fermarsi ugualmente a scambiare solo due parole. Evito di farle la rituale insulsa domanda “come mai fai questo lavoro ?” e parliamo, un pò in italiano, un pò in inglese, del più e del meno, come due turisti che si incontrano per caso. Maria mi chiede dell’Italia, di me, della mia famiglia, se ho dei figli e che cosa fanno. Quando le parlo dei miei figli, che sono più grandi di lei, che uno studia e l’altro lavora, il suo sguardo si perde nel vuoto, come sognando un miraggio. Ci salutiamo e mentre mi avvio verso l’uscita viene a baciarmi sulla guancia. Mi prende una indicibile tristezza…

Di Gianfranco ho perso le tracce (ma lui non ama le mezze misure!) ed allora mi incammino verso l’albergo. Sono le tre e mezzo e strada facendo, mentre cerco di fare ordine tra le mie idee, noto che non vi sono in giro animali, cani e gatti, che di giorno vedo numerosi. Boh…non voglio indagare sulla loro vita privata. Quello che mi ha colpito in questo posto degli animali è la loro docilità. Mai aggressivi. . . sempre pronti a farti festa; anche quando abbaiano o miagolano, sembra quasi vogliano dirti: guarda che ci sono anch’io. Da qualcuno avranno pure imparato, ho pensato!

Il giorno dopo, il 22, è dedicato alle…valige, alla partenza fissata per le ore 24. Non ho visto Gianfranco e sono un pò preoccupato, dati gli “stravizi” della sera precedente e la sua non più verde età. Chiedo a Josè che, col sorriso di chi la sa lunga, mi risponde che il giorno prima Gianfranco ha fatto tardi ed adesso starà sicuramente riposando. Finalmente compare ad ora di cena come nulla fosse, fresco come un fiore; da perfetto gentiluomo nulla mi chiede e nulla mi racconta di quello che si è fatto la sera prima. Mi saluta affettuosamente, ci terrebbe solo a ricevere qualcuna delle foto che ho scattato la notte precedente al Funana e magari una cassetta di Fabrizio de Andrè, uno dei suoi cantanti preferiti assieme a Juliette Greco, e a Milù naturalmente ; adesso andrà a dormire, sono appena le h. 19, 30; “non amo le mezze misure” mi ripete per l’ultima volta “o tutto bianco o tutto nero, mai grigio !”.

All’aeroporto rivedo Anita, la nostra guida, che accompagna un gruppo di turisti all’imbarco. è particolarmente allegra ed allora le chiedo “è perchè hai fatto pace col tuo ragazzo o perché hai trovato un nuovo amore?” Mi guarda e maliziosamente mi risponde: ”indovina”. Prima di salire sull’aereo spendo gli ultimi escudos che mi rimangono (altrove sono inconvertibili) e trovo ancora il tempo di fare un breve bilancio della mia vacanza. Non è andata come avevo programmato, ma forse è stato meglio così. Ho avuto modo in quindici giorni di comprendere meglio dove, con chi mi trovavo, immedesimandomi nei posti e nelle persone che avevo incontrato; quando ritornerò a Capoverde mi sentirò, un pò di più, uno di loro.

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