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A cura di Alberto e Anna

Grandi uomini per una Democrazia matura?

Capo Verde, Luglio 2008

Lo scorso febbraio i giornali capoverdiani riportavano tutti la notizia che uno dei condannati per frode elettorale nelle presidenziali del 2001 minacciava di far i nomi dei mandanti, in quanto non gli era stato versato il compenso pattuito. Potrebbe essere il soggetto di una commedia burlesca e invece la sortita ha avuto l’effetto di riportare a galla i fatti avvenuti nel lontano 2001.

Nell’occasione il rappresentante del MPD, Carlos Veiga, aveva riportato solo dodici voti in meno dell’eletto Pedro Pires (PAICV). Successivi accertamenti provavano l’esistenza di una truffa nell’isola di S.Nicolau ma, non potendo essere quantitativamente accertata, si procedeva ugualmente alla ratifica dei risultati ufficiali. Successivamente i colpevoli, scoperti, venivano condannati.

Intervistato del perché non abbia fatto valere, nell’occasione, tutti i suoi diritti, contestando i risultati, il sig. Carlos Veiga ha risposto: “perché succedesse, a Capo Verde, una guerra civile come quella che sta succedendo in Kenia (e oggi potremmo dire in Zimbawe)? No grazie!”

Il diciotto del mese scorso ci sono state le elezioni amministrative. A Praia (la Capitale che raggruppa più di un quarto della popolazione di tutto l’arcipelago) ha vinto inaspettatamente l’opposizione MPD. Il sindaco uscente, che era certo del proprio successo (aveva già organizzato i festeggiamenti) ha immediatamente contestato i risultati (peraltro chiari: quasi 500 voti di differenza) facendo fuoco e fiamme e minacciando chissà quali ricorsi. Il capo del suo partito e capo del governo Josè Maria Neves si è affrettato a riconoscere i risultati nazionali come legittimi e trasparenti privando così lo costernato perdente di ogni supporto politico.

Veiga e Neves. Due uomini che, pur su opposte barricate, credono nella Democrazia e in Capo Verde, piccolo Paese sperduto nell’atlantico ma in grado di dar lezioni ai molti che la Democrazia pensano di difenderla con i litigi e con le armi.

 

Un paese in vendita

Capo Verde, Febbraio 2008

Bisogna approfittarne. C’è un Paese in vendita! A disposizione piccoli e grandi lotti, intere spiagge, colline prospicienti il mare. Potete comprare tutto e i prezzi sono più che ragionevoli. Lo Stato vende, il Governo incassa, i mediatori prosperano e i proprietari aspettano per anni qualche soldo, che non incasseranno mai, derivante dalla vendita dei loro terreni.

Lo Stato dice che i contadini non hanno diritti legali sui loro terreni. Non possono dimostrare che sono di loro proprietà, non esiste un Catasto e le carte che possono esibire non hanno alcun valore legale. In questo contesto, su queste “terre di nessuno” ma vendute a caro prezzo, nascono complessi alberghieri, aeroporti, villaggi turistici, condomini.

Vengono stravolte destinazioni e salvaguardie. Un isolotto davanti alla Capitale, considerato sinora patrimonio storico e naturalistico diventerà sede di un Casinò ad opera di un cinese di Macao. Una salina che occupa un intero cratere spento è stata venduta e verrà sfruttata, a fini turistici, da un impresario bresciano. Nascono complessi assurdi di più piani, vengono cementificate grosse estensioni di terreno, dragato il mare per fare nuovi porticcioli turistici, rasate le meravigliose dune delle spiagge per ricavare sabbia da costruzione. È il progresso.

Investiamo! Compriamoci una casa sull’isola di Sal, a Boavista o su Maio. Presto, che i prezzi aumentano!

Qualcuno è deluso. Si aspettava altre comodità. Non pensava che la luce mancasse così spesso, che l’acqua dovesse essere pagata a caro prezzo e portata con l’autobotte, che internet fosse così caro, che una settimana di ferie non bastasse per raggiungere casa sua, dati i trasporti imprevedibili. Non si aspettava soprattutto di dover vivere in un ghetto di bianchi completamente avulsi dalla realtà del Paese e senza alcun rapporto con la popolazione locale.

Ma anche i Capoverdiani hanno avuto la loro sorpresa. Quella di non avere accesso alle nuove strutture alberghiere, quella di essere cacciati, dai guardiani, dalle loro spiagge ormai divenute “private”, quella di dover lavorare, novelli schiavi, per stipendi da fame e per le mansioni più umili, nelle costruzioni che il nuovo colonizzatore (questa volta economico e non politico) ha creato sui “loro” terreni.

 

A&A (mail: [email protected])

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