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A cura di Franco Arato

 

CAMILLO SBARBARO, O DELLA "SPREZZATURA"

di Franco Arato

 

"I licheni m'interessano come forma negletta - povera? - di vita": Sbarbaro usava spiegare in questo modo il motivo segreto, etico prima che scientifico, della sua competenza fuori dal comune per il mondo vegetale (di licheni fu esperto di fama internazionale: la sua collezione è oggi al Museo di storia naturale di Genova). A questa immagine di scrutatore complice della vita elementare si sovrappone senza contraddizione l'altra immagine, giocosa, contenuta in una famosa poesia dell'amico-allievo Montale (in Ossi di seppia):

Sbarbaro, estroso fanciullo, piega versicolori
carte e ne trae navicelle che affida alla fanghiglia
mobile d'un rigagno…

Nato a Santa Margherita nel 1888, vissuto sempre in Liguria (a lungo nell'altra riviera, a Spotorno), morto a Savona nel 1967, Sbarbaro ha insegnato greco e latino nei licei, alternando all'insegnamento una fitta attività di traduttore dal francese e dal greco (particolarmente apprezzata una sua versione del Ciclope di Euripide). Nel gergo delle storie letterarie Sbarbaro è definito "vociano", perché fece le sue prime prove importanti sulla rivista fiorentina di G. Prezzolini e G. Papini "La Voce" (1908-1916), palestra dell'idealismo filosofico (vi collaborò anche Croce) e di un moderato sperimentalismo letterario, estraneo sia alle oltranze futuriste, sia al decorativismo di D'Annunzio.

I suoi titoli ostentano, se si può adoperare un ossimoro, l'inappariscenza: da Resine (1911) a Pianissimo (1914), da Trucioli (1920, brevi prose) a Rimanenze (1955: che riunisce anche versi precedenti la seconda guerra), a Scampoli (1960, altri aforismi). Le prime prove sono saldamente legate, anche da un punto di vista formale, alla tradizione: endecasillabi sciolti con qualche licenza metrica, via via più frequente. Il modello ricorrente è ancora Leopardi: nei suggestivi versi di "Piccolo, quando un canto di ubriachi" si sente netta l'impronta de La sera del dì di festa. Ma Sbarbaro, che pure conosce gli abissi spirituali di Rimbaud e di Huysmans, trova quasi subito il suo tono in una sorta di amaro, spietato monologo/dialogo che è quasi un sussurro: "Taci, anima stanca di godere / e di soffrire (all'uno e all'altro vai / rassegnata)".

Quando questa voce in versi gli sembrerà troppo sonante, s'ingegnerà di mettere insieme trucioli e frammenti di vita in forma di fulminee prose. In Pianissimo il poeta scopre con stupore che il suo terreno più vero è il deserto: il mondo messo in dubbio, tra parentesi, perché invisibile anche quando lo vediamo ("un cieco mi par d'essere, seduto / sopra la sponda d'un immenso fiume"), la prova provvisoria della non vanità del tutto essendo appunto il minimo ciuffo d'erba ("e carezzo con man che trema l'erba").

Sbarbaro soffriva, confessò una volta a Ferdinando Camon, di depressione ciclica, con esattezza definita come una "tremenda privazione d'ogni consenso con la vita". C'è al fondo una religiosità, seppur una religiosità negativa? Forse, anche se la sprezzatura sbarbariana pare rifuggire le complicazioni metafisiche. "L'arsura della vita" è guarita piuttosto dalla coscienza delle "cose buone della terra", che quasi convincono il poeta a tentare il volo dell'angelo ("come / per uno sforzo d'ali i gomiti alzo…": si sa quanto queste immagini penetrarono nella mente del giovane Montale).

Forse esiste una vocazione ligure a trarre significati mentali dalla transitorietà del paesaggio: e Sbarbaro la fa propria. L'affettuoso ritratto a pastello di Voze, piccola frazione di Noli, non potrebbe risultare più conveniente a una sorta di poetica della resistenza al male:

Voze, che sciacqui al sole la miseria
delle tue poche case, ammonticchiate
come pecore contro l'acquazzone

Nei versi per Dina la trama della memoria d'amore, che riporta al mare di Nervi e alle case di Loano, è insieme salvezza e strazio:

i ricordi
sono mani che non giungono a toccarsi

Ma la "poca gioia" dell'estroso fanciullo è soprattutto scoperta di "parole": come nello scintillante ritratto della "bambina che va sotto gli alberi" con il solo "peso della sua treccia, / un fil di canto in gola". Se questo canto, intermittente e negletto, è felicità, Sbarbaro ha vinto la scommessa.


Poesie selezionate (in italiano e tradotte in portoghese)

Una scheda biografica (in italiano e in portoghese)

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