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Traduzione Gabriella Minisini

 

Vila d'Arcos

Vila d’Arcos è a nord, un pò a est, in una regione di montagna. E’ una piccola città di provincia con strade lastricate intorno alla cattedrale enorme come una nave da eterni viaggi. Le sue case antiche – nobili quanto povere- sono proporzionate con esattezza dal gradino della scala fino al contorno della finestra , dalla balaustra della veranda fino alla superficie della parete di granito senza intonaco in cui  solo la pietra delle armi con bisanti, grifoni e leoni è eccessivo sopra i ferri e i legni discongiunti  della porta; come se nel mondo in cui stiamo non importi niente,ne il freddo del granito, ne la strettezza cupa delle stanze, ne la penuria monotona dei giorni, ma importa solo la nobiltà che mostriamo alla luce e che è l’ idea della nostra anima.

E’ una città antica dove impassibile si disgrega e si dissolve lentamente una vita spenta, gesto per gesto, attimo per attimo sillaba per sillaba. I carri gemono a lungo nelle vie lastricate. Passano pochi uomini e rapide donne vestite di nero e in maggio i rosai fioriscono sui muri che l’inverno aveva ricoperto di muschio. Dietro alla persiana verde della piccola finestra della casa d’ angolo una donna dagli occhi acuti, ravvicinati e scuri, guarda tutto, esperta e arguta, terribilmente attenta come se il suo sguardo sostenesse e aiutasse il non accadere delle cose. Ci sono giardini imprevisti, più sottili e complessi di quel che si immagina, dove crescono alte magnolie, con grandi fiori bianchi dai petali immensi e ampi, morbidi e fitti e dove l’ acqua d’ argento che irrompe dalla bocca dei delfini di pietra  cade nelle piccole vasche ottagonali. Giardini di bosso, camelie e violette profumate di contemplazione e passione, di oblio e silenzio. Giardini dolcemente abbandonati a una solitudine volteggiata dalle brezza, mentre un sussurro di addio si accenna tra le foglie dei rami più alti degli alberi. Giardini dove riconosciamo che la vita è un sogno dal quale mai ci svegliamo, un sogno dove irrompono apparizioni prodigiose come il giglio, l’ aquila  e l’indimenticabile viso amato con passione, ma dove tutto si trasforma in dimenticanza, distanza, impossibilità e rifiuto. Giardini dove riconosciamo che la nostra condizione è non sapere. E’ non poter mai trovare unicità. E trovare unicità sarebbe svegliarsi. 

(Sophia de Mello Breyner Andresen, "Històrias da terra e do Mar", Texto Editora, 1989)

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