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pagina a cura di Jorge Canifa (mail: [email protected])


Cabeça Negra

Cabeça Negra è un gruppo musicale misto di Palermo, formato da Jerusa Barros, voce, Francesco Cimino, basso e bouzuki, Marcello Bruno, pianoforte e tastiere.

Il richiamo alle origini ha sempre rappresentato la vera linfa creativa di ogni musicista che almeno una volta nella vita sente più che mai forte il desiderio di ritrovare in sé le radici della propria espressività. Questa stessa pulsione di rinascita spinge Jerusa Barros a proporre al suo compagno di vita, il musicista Francesco Cimino, quello che nella sua mente si delineava sempre più come il progetto Cabeça Negra: usare la musica capoverdiana e la sua carica di nostalgico appeal e di euforica espressività per comunicare energia e ritmo, insieme alla scoperta di un sound lineare e comunicativo.

Inizia il periodo che vede i singoli componenti impegnati nella ricerca del superamento dei propri retaggi musicali nel tentativo di comprendere a pieno la complessa espressione della musica capoverdiana. Le musiche di Cesaria Evora guidano Jerusa Barros a ritroso lungo il cammino che l'aveva, molti anni prima, condotta in Italia lontano dalle bianche spiagge dell'isola di Sal.

Nel giro di un anno dall'ingresso di Marcello Bruno al pianoforte e con svariate collaborazioni di numerosi musicisti, i concerti si moltiplicano e la risposta del pubblico palermitano rispecchia il desiderio di una città, come di un'intera società, di confrontarsi con realtà diverse e stimolanti.

Grande sostegno ed entusiasmo proviene dalla comunità capoverdiana che accoglie il gruppo coinvolgendolo in numerose attività artistiche. Di rientro da un recente lungo tour a Capo Verde, che li ha visti cimentarsi con il pubblico capoverdiano, Cabeça Negra ha raccolto anche ottime critiche partecipando al Festival internazionale di lingua portoghese che ogni anno si tiene all'isola di Sal.

 

AMILCAR CABRAL

"Preferirei che la libertà del mio popolo diventasse una realtà senza il bisogno di combattere"

Conakry, Sabato 20 gennaio 1973.

Amilcar CabraDopo due intense settimane di impegni diplomatici in giro per l'Africa e l'Unione Sovietica, Amilcar Cabral, si concede una serata danzante con Ana Maria. Alle 23, al volante della sua Volkswagen, si dirige verso Cité Minière,a qualche chilometro da Conakry... Le tenebre dominano il mondo circostante, un brivido scivola improvvisamente dentro la sua pelle... non è per il freddo! Improvvisamente, proprio mentre sta effettuando la manovra per posteggiare, due potenti fari accecano lui e Ana Maria. Si tratta dei fari di una jeep dello stesso partito di Cabral. Da questa escono vari militanti armati.

Uno di questi è Inocêncio Cani, un veterano del PAIGC, ex membro del Comitato Centrale ed ex comandante della Marina da Guerra. Tra i due è subito un rapido susseguirsi di parole feroci, violente, avvelenate. Cani si spazientisce e da ordine di legare il Segretario Generale Amilcr Cabral con una corda. "Mai, non mi legherete come un animale! Uccidetemi piuttosto, ma non consentirò che mi leghiate!" - risponderà Amilcar Cabral, secondo la testimonianza di Ana Maria. Cani non si aspettava una tale resistenza. È nervoso, imbestialito e spazientito; afferra la sua arma e spara.

Poi il silenzio domina, per un istante tremendamente lungo, l'Africa, il mondo intero... e come un possente gigante, come una massiccia montagna, il grande leader crolla a terra colpito al fegato. Le lacrime di Ana Maria insieme al suo dolore, sono le lacrime e il dolore di un continente intero... Puoi farcela... su, Grande Capo, rialzati! Sei tutti noi!... puoi farcela... "Sì, non sono morto!" si aprono gli occhi e, a grande fatica, reggendosi il fegato ormai spappolato, riesce a sedersi. "Vieni qua Ana! Stammi vicino... e voi... voi... Perché arrivare a tanto! Se esistono delle discordie tra noi è necessario discutere... non ricorrere alle armi!"

"Riesci ancora a parlare?" Gli sbraita contro l'inferocito Cani, afferrandolo con violenza, per la maglia. Poi lo lascia cadere, fa tirare via Ana Maria e al suo segnale uno dei compagni spara una breve raffica di mitragliatrice...
Colpito alla testa Cabral muore. Nelle tasche aveva un foglio con l'inizio di una lettera per una delle sue figlie e alcuni appunti per un libro che stava preparando.


Raíz: Radici a Capo Verde

 

Gli immigrati sono tutti ladri e/o spacciatori di droga, assassini, violenti e violentatori… una piaga per il Belpaese. Non sto farneticando, non li leggete i giornali? Non guardate la tv? Ogni giorno si parla di immigrati, ma nelle accezioni più negative… se stessi arrivando in questo istante da un lontano pianeta che niente sa dell'Italia e mi ritrovassi a leggere qualche giornale italiano, il terrore e l'avversione per gli immigrati mi assalirebbe. Storie di uccisioni e droga, della sporcizia e della puzza che portano nelle città, di clandestini, e contrabbandieri, di furti, di scippi di… Quanti bei colori neri utilizzano i pittori "giornali" per dipingere chi viene da lontano alla ricerca di un modo diverso di vivere!! Mai un colore positivo, una speranza… un immigrato che muore per salvare la vita ad un italiano è solo "un immigrato che ha salvato la vita ad un italiano" e il giorno dopo neppure quello. Si dimentica, si lascia che la cronaca porti a dominio di un fatto negativo. E' più semplice giudicare chi non si conosce che cercare di capire il motivo di un gesto… un gesto del singolo, non del collettivo!

Tra tutto questo fango ogni tanto qualcuno alza la testa e grida: "Ehi, ci sono anche persone che vengono da lontano e danno l'anima per un paese non loro". E' questo il messaggio che ho carpito, lunedì 18 e martedì 19, guardando le due prime puntate "Il mestiere di vivere" dedicato al modus vivendi di alcune famiglie capoverdiane a Roma: Raíz - Radici a Capo Verde.
Mi sono alzato in piedi e ho applaudito e ho sperato nel profondo dell'anima che questo potesse essere il "topper" (in drammaturgia "topper" è il mattone che cadendo fa cadere gli altri mattoni) di altre puntate a tema immigrazione!

E' film e documentario insieme, ma è anche un reality show, che lascia parlare i protagonisti, nascondendo gli esterni: cameraman, regista e intervistatori/trici, compresi. I protagonisti perdono la connotazione di elementi di ricerca, dell'oggetto da studiare e diventano attori e personaggi contemporaneamente, nel senso che interpretano quello che sono realmente nella vita di tutti i giorni… sono loro stessi, con la bravura di essere grandi attori. Il palcoscenico è Roma e finalmente vediamo questi "real-attori" che perdono la connotazione di immigrati negativi e diventano personaggi comuni, positivi, o negativi che siano, che lavorano, e vivono la capitale non più né meno diversamente da quelli che si definiscono romani da sette generazioni…E quando la signora Quinta dice: "Morirò nella terra dove le mie gambe si fermeranno", sembra di assistere ad una frase cinematografica tipo "domani è un altro giorno" o ad lampo di saggezza africana tipo "in Africa, un vecchio che muore è una biblioteca che brucia"… Frasi e immagini che colpiscono. Frasi e immagini che gratificano chi ha dato cento volte più all'Italia (paese straniero per nascita) che al proprio paese di provenienza.

E per questo io mi alzo e faccio ancora un grande applauso a chi ha voluto vedere una realtà (a voi) estranea con occhi, frasi, memoria, e gesti di quell'immigrato che di immigrato ha solo quella tipica colorazione di pelle che molti italiani vanno a cercare ogni mese sulle coste del Capo Verde! "Mi interessava il punto di vista femminile e una migrazione di lunga data (Le donne capoverdiane sono in Italia dagli anni sessanta)"- dichiara Costanza Quatriglio - "Racconto la vita quotidiana di alcune famiglie e i conflitti tra generazioni. C'è il confronto tra due esperienze migratorie diverse: quella di Francisca, da trent'anni collaboratrice domestica, e quella di Elsa, che ha sposato un italiano e gestisce dei negozi tra Roma e Capo Verde contribuendo così all'economia dell'isola. Il filo conduttore è il viaggio di un'anziana nonna che vuole tornare nel paese africano. L'ho girato in 10 settimane".

Per saperne di più: sinossi del documentario a cura della regista

 

“O PERCURSO do Outro”

“O PERCURSO do Outro”, documentário do antropólogo e realizador Guenny Pires sobre o tema da cabo-verdianidade será
exibido na cidade italiana de Caserta no próximo dia 7 de Novembro.

O filme discute e reflecte o tema da cabo-verdianidade e as relações interculturais que se travaram ao longo da história com o mundo a partir de Cabo Verde, segundo o cineasta. “Do ponto de vista antropológico, faz uma análise comparativa de rituais, da poesia, música, gastronomia, dança e, sobretudo, dos modos de vida de um povo dentro e fora do país”, refere.

“A cultura cabo-verdiana é resultante de uma constante viagem, que é transmitida de geração em geração, porque este povo faz sempre uma viagem simultaneamente simbólica e uma viagem de verdade, no tempo e no espaço, uma ida ao passado com o sentido do futuro”, defende Guenny Pires.

“Trata-se de um filme que reconstrui a história antiga e recente de Cabo Verde; da cultura existente e vivida por cada filho daquele arquipélago. Mostra como é importante o fenómeno imigratório ao longo dos tempos e qual é a importância da diáspora no contexto actual da globalização do mundo face a um país insular”, afirma.

O projecto deste documentário foi desenvolvido no âmbito de uma pós-graduação nesta modalidade de realização cinematográfica realizada na Universidade do Porto em 2001/2002.

A apresentação do filme em Caserta insere-se numa sessão cultural sobre Cabo Verde, que inclui também uma conferência de Guenny Pires intitulada “A Cabo-verdianidade no Mundo, a Identidade e a Representação dos Rituais em Cabo Verde e na Diáspora”.


 

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