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A cura di Mario Chiapetto

 

Azulejo

Il colore del mediterraneo sull'oceano

 

I visitatori più attenti del sud della Spagna e del Portogallo non possono certo fare a meno di notare una forma di arte ceramica applicata assai caratteristica: alludiamo all’azulejo, cioè alla piastrella ceramica quadrata, le cui dimensioni classiche sono circa 15 cm per 15. Applicata in un numero molto elevato, copriva grandi superfici nelle pareti e più raramente nei pavimenti, sia negli interni che negli esterni delle case (quest’ultima forma è certo la più appariscente).

Tale piastrella può contenere un singolo disegno, in sé concluso, e in tale caso è denominata de figura avulsa (a cellula autonoma); oppure può essere cellula di un disegno che occupa più piastrelle; in questo caso può trattarsi di un disegno ripetitivo, tendenzialmente infinito, quale quello che – più modestamente – ancor oggi vediamo nelle nostre cucine o bagni. Oppure può essere un disegno progettato a tavolino, solitamente rappresentante delle figure umane o paesaggi naturali o architettonici. Queste ultime modalità di realizzazione si possono definire paineis.

1) L'origine

La stessa parole azulejo già mette sull’avviso: è un termine di origine araba. Azulajum significa pietra pulita, lucida; e indissolubilmente è legato al colore azzurro, almeno nella sua modalità più nota. Tali mattonelle, prodotte normalmente in grandi quantità nella Spagna moresca e nei paesi arabi, fanno la loro apparizione nella parte cristiana della Penisola Iberica a partire dal quattrocento. Ovviamente non furono estranei a tale diffusione sia gli artigiani mori passati sotto dominazione cristiana, sia le richieste della committenza iberica che, dopo la conclusione della riconquista, cominciava a valutare ed apprezzare le raffinatezze moresche dell’Andalusia.

A loro volta gli arabi avevano appreso la tecnica del mosaico dai bizantini, semplificandola attraverso le composizioni policromatica di tessere di maiolica (alicatados o azulejos enxaquetados, a scacchi araldici) geometriche, non necessariamente quadrate. In Portogallo le prime piastrelle sono di importazione moresca, sivigliana e meno frequentemente, valenciana.

2) Le tecniche

Come opera ceramica, l’esecuzione degli azulejos non presenta particolari difficoltà, trattandosi di stampi sempre identici. La rilevanza artistica interviene invece nel disegno geometrico, via via sempre più elaborato. Non essendo ancora nota del tutto la tecnica delle cotture successive dell’oggetto ceramico (primo fuoco, secondo fuoco o gran fuoco, terzo o piccolo fuoco), necessarie per fissare i vari colori che avevano temperature di fissaggio diverse sulla superficie, si utilizzarono due differenti tecniche: quella della corda seca e quella della cuenca (in castigliano). La prima era così definita perché le linee del disegno venivano impresse da cordicelle tese impregnate di grasso che bruciavano durante la cottura. I solchi erano riempiti di vernici e così i colori erano tenuti distanziati. La cuenca invece era uno stampo di legno che incideva la piastrelle.

 

Con lo sviluppo delle conoscenza della tecnica dei fuochi successivi, e con il passaggio alle esigenze di una committenza sempre più raffinata che voleva affrancarsi dalla ripetitività dei disegni geometrici, proprio in Portogallo si passò, nel cinquecento, all’azulejo dipinto su superficie piana. Santos Simões, il più noto degli studiosi portoghesi degli azulejos, ha ben sottolineato come a questa modificazione sia tecnica che di gusto non fu estraneo Niculoso Pisano, ceramista stabilitosi in Siviglia nei primi del secolo, di cui si discute l’origine (pisana o ligure). Di sicuro si può identificare nell’area nord del Tirreno-Mar ligure il punto di partenza del rinnovamento stilistico iberico. Il Cinquecento ed il Seicento vedono così l’affermarsi di una produzione azulejar con disegni multicolori per poi passare a fine secolo alla predominanza del solo azzurro, il più tipico e il più riconoscibile per il visitatore. Le piastrelle multicolori, ove spiccavano varie tonalità di verde, giallo, marrone, devono il suo sostrato ispiratore all’apporto delle tecniche olandesi di Delft e dei loro imitatori inglesi (Delftware), che completarono il panorama portoghese nei due secoli d’oro della ceramica, il seicento ed il settecento. La seconda metà del secolo XVIII, dopo il grande terremoto e la ricostruzione pombalina, si vide una vera e propria produzione di massa delle piastrelle, sempre di grande qualità anche quando si trattava di lavori eseguiti da apprendisti; ma contemporaneamente andò perdendosi l’abitudine alle precedenti, normali esecuzioni di paineis con dipinti ad hoc. L’apporto olandese è ancor oggi evidente in alcuni pannelli parietali, ove le figuras avulsas sono di modello nordico, a volte evidenziate dal loro tipico color bruno, mentre le barras cioè gli equivalenti di un nobile battiscopa, sono chiaramente di origine locale portoghese.

L’Ottocento e il Novecento, che in questa sede trascuriamo, vedono prima una decadenza, poi una riscoperta dell’azulejo, fino ai grandi nomi di artisti legati al rinnovamento artistico di fine secolo XIX, quale Rafael Bordalo Pinheiro, o agli sperimentatori delle decorazioni delle stazioni della metropolitana lisboeta.

 

 

3) L'azulejo in Liguria


Un filo di colore azzurro unisce la penisola iberica a quella italiana: è proprio l’azulejo che, quale prodotto d’importazione araba e spagnola, poi come prodotto autoctono, esalta lo stretto legame commerciale, culturale e politico fra le due culture.

Più facile da spiegare è la "riggiola" o "reggiola meridionale" (il nome è evidentemente una derivazione del termine catalano "rajola"), vista la lunga dominazione aragonese prima e spagnola poi, e la struttura sociale della committenza, che fece produrre e ornare grandi e magnifiche quantità di piastrelle.

Più indipendente e legata a scelte autoctone della committenza è la quantitativamente minore produzione ligure, fabbricata nelle fornaci di Savona, Albissola e, in misura minore, Genova. Il termine di designazione della piastrelle in Liguria è "laggione". È appena il caso di notare che il termine è ancora più dell’equivalente iberico, vicino al modello arabo. L’importazione dalla Spagna in Liguria pare più antica di altre importazioni in Italia, risalendo al XIII secolo. Gli alicatados genovesi, seppur molto restaurati o deperiti, sono ancora visibili su un certo numero di chiese romaniche o gotiche, e citiamo per tutte la cuspide di Sant’Agostino in Genova (sede del Museo della Scultura).

Il XV e il XVI secolo rappresentano il trionfo dei laggioni savonesi ed albisolesi, sia in termini di quantità che di qualità. Importati prima i prodotti realizzati con le tecniche della corda seca e della cuenca, ma mai prodotti in loco , i figuli (maiolicari) liguri esaltarono una tecnica nuova, realizzando un disegno sia monocromo che policromo senza passare attraverso la compressione fisica della piastrella. Tali pannelli sono ormai ridotti di numero sia per i secoli trascorsi, sia per le ferite belliche, sia per l’incuria verso un prodotto non più gradito alla proprietà aristocratica; sono tuttora visibili dei pannelli in Savona (Museo Priamar , atrio della camera di commercio), in Genova (musei cittadini , in alcune case e chiese savonesi (S. Ignazio), nelle scalinate di due case genovesi di via Luccoli, e in varie esposizioni antiquarie o private. Maggiormente simile al gusto iberico o portoghese in particolare è la decorazione della cappella Botto della chiesa di Santa Maria di Castello in Genova, che raffigura un San Giovanni benedicente e un San Giorgio (patrono di Genova).

Il Seicento vede terminare la produzione dei laggioni classici. Altri sono ormai i prodotti richiesti, soprattuto i grandi vasi di farmacia liguri savonesi e albisolesi, vera gloria mondiale della ceramica ligure.

Il Settecento presenta invece alcuni episodi di riscoperta del laggione, attraverso una committenza aristocratica che, volendo abbellire le proprie dimore di campagna, fa grande uso di maioliche. Tale uso sarà però legato più ad un utilizzo di ambienti di servizio (pavimenti) che non di decorazione parietale. Valga per tutti l’esempio dell’esteso pavimento della sala delle feste di villa Durazzo Faraggiana in Albisola, oggetto di un rigoroso restauro filologico. Simile a certi moduli pombalini, senza che gli sia estranea ovviamente una libera interpretazione rococò ligure, tale opera dimostra la vitalità di un’aste relativamente semplice e raffinata ad un tempo che ha unito, in epoche diverse e con origini distinte le produzioni di questi “complementi di arredo” comuni in Italia, Spagna e Portogallo.


Da visitare in Portogallo:

La navata della Cappella di S. Sebastiano a Lumiar (un quartiere di Lisbona) del 1628, raffigurante S. Paolo e Sant'Antonio
Il Palazzo Marquês da Fronteira a Lisbona, più precisamente nel quartiere Benfica
Chiesa dello Spirito Santo a Évora
Stazione della Metropolitana di Anjos a Lisbona
La facciata della Fabbrica di Ceramica Viúva Lamego a Lisbona
Il Museo Nazionale dell'Azulejo a Lisbona
Il Monastero di São Vicente de Fora a Lisbona
Il Palazzo Nazionale di Sintra
Palazzo di Queluz

 

Da apprezzare in Italia:

Il pannello della Madonna del fascio (cm 320x260) di Leopoldo Battistini (1865-1936), a Predappio
Il pavimento della cappella Vaselli in S. Petronio a Bologna
La capella Lando all'interno della chiesa di S.Sebastiano a Venezia
Il rivestimento della cappella funeraria Caracciolo del Sole in S. Giovanni a Carbonara a Napoli
Il Chiostro di S.Chiara a Napoli
Il pavimento della chiesa di S. Francesco a Deruta
La Chiesa di S. Donato a Castelli
Villa Gavotti ad Albisola Superiore

 

Bibliografia:

SANTOS SIMÕES, Corpus Azulejaria Portuguesa, 5 volumi, 1959-1979;
L. GRASSI - M. PEPE - G. SESTIERI, Dizionario di antiquariato, Milano, Vallardi-Garzanti, 1992 alle voci LAGGIONI, RIGGIOLE, ALICATADO, 
AZULEJO;
R. CHARLESTON, Ceramica nei secoli, Milano, Mondadori, 1970; 
MARIA MANUELA MALHOA GOMES - JOÃO PEDRO MONTEIRO Azulejos. Conservação e restauro, Lisboa, Fundação Ricardo do Espirito Santo Silva, 1997; 
JOÃO CASTEL BRANCO PEREIRA As colecções do Museu Nacional do Azulejo de Lisboa, Zwemmer, 1995.
ALFONSO PLEGUEZELO HERNANDEZ, Azulejo sevillano, Sevilla, Padilla, 1992.
LORENZO LANTERI Voci orientali nei dialetti di Liguria, Savona, A Campanassa, 1980, pag, 20.
Di indispensabile consultazione sono gli  ATTI DEL CENTRO LIGURE PER LA STORIA DELLA CERAMICA, fondato nel 1968 in Albissola.
GIUSEPPE BUSCAGLIA Criterios di identificación de los azulejos sevillanos y ligures y una producción inedita savonense del siglo XVI, 
Sevilla, Publicaciones de la Universidad de Sevilla, 1992
RENZO AIOLFI - GIUSEPPE BUSCAGLIA La ceramica savonese nella Raccolta Civica, Savona, Comune di Savona, 1990, pp. 38-45.
FEDERICO MARZINOT  Ceramica e ceramisti di Liguria, Genova, Sagep, 1996.
HERNANDEZ Azulejo sevillano cit, pag. 50.
FEDERICO MARZINOT, L'uomo e  la civiltà in Liguria: la ceramica, Genova, Sagep, pag. 40-41.

Sul web:

Azulejos de Lisboa
Istituto Camões
Museu do Azulejo

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